Per Śrī Aurobindo il concetto di rinascita come punizione divina è un’idea legata al moralismo umano, fondata sull’idea di giustizia. Il Divino agisce basandosi esclusivamente sulla Verità Suprema e sulla manifestazione della stessa nella Līlā, senza preoccuparsi di ciò che possa essere giusto moralmente. Quindi il ciclo del saṃsāra sarebbe per lui la crescita dell’anima attraverso varie esperienze, immersa in un senso di sofferenza, di separazione e di distacco, finchè durerà l’Ignoranza.
Fino a quando l’uomo rimarrà incosciente, vivrà immerso nelle dicotomie bene e male, piacere e sofferenza, gioia e dolore. Solamente elevandosi egli prenderà coscienza dell’unità negli estremi e cesserà in lui il senso di separazione.
La sofferenza è necessaria all’anima per imparare a migliorarsi, fino a quando non sarà pronta a ricongiungersi con il Divino.
Quando un’anima lascia il corpo, perde coscienza degli eventi legati al Fisico e al Vitale e delle costruzioni mentali, prima di incarnarsi in un altro essere che avrà tutt’altra mente, tutt’altra vita e ovviamente tutt’altro corpo. Per questo non ci si ricorda delle esperienze passate.
Venendo però a conoscenza delle precedenti esistenze, si potrà capire perché avvengano determinate sfortune, errori, calamità o caratteristiche negative della personalità, che il più delle volte sono ostacoli da superare per ottenere tale ricongiungimento.
Il karma non deve essere visto come una condanna, in quanto tramite gli sforzi e la sādhanā può essere ripulito. Per questo non bisogna dare molta importanza alle vite precedenti, mentre invece occorre concentrarsi sul motivo basilare dell’attuale rinascita, scoprendo il reale scopo dell’esistenza in corso. La vita terrena, infatti, è l’unico luogo dove tale evoluzione possa avvenire.
Tratto da:
Tara Rosa Eleonora Percesepe, La Trasformazione della Coscienza, Libraio Editore, Milano 2019